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Bruno Demichelis

 

Bruno de michelisLa figura di De Michelis evoca, senza dubbio, più di ogni altra, la ruvida figura del guerriero così come viene concepito dalla tradizione marziale.

Era dotato di un fisico imponente che rappresentava il veicolo superbo della sua personalità decisa e tagliente, tipica della gente di Venezia dove Bruno era nato nel 1947. Con quel potenziale fisico avrebbe potuto trovare un posto di risalto in qualunque specialità sportiva che richiedesse forza e resistenza ma indubbiamente il karate gli diede modo di sposare alla potenza le sue specifiche qualità di carattere.

Benché non fosse stato tra i primissimi allievi di Shirai seppe inserirsi di forza nel gruppo di punta che difese ovunque, con straordinario successo, la supremazia di una scuola italiana tanto più rilevante in quanto costituitasi e consolidatasi con eccezionale rapidità.

Le competizioni mondiali ed europee della I.A.K.F., la federazione di Nishiyama, lo videro sempre tra i protagonisti. Per non parlare di tutte le altre occasioni agonistiche a livello nazionale dove il kumite fu interprete roccioso ed essenziale trasferendo nel gesto una forza di eccezionale determinazione psichica.Bruno de michelis

É importante sottolineare questo aspetto della personalità agonistica di De Michelis perché dietro di essa si manifestava già quella che sarebbe stata l’evoluzione del suo modo di confrontarsi con gli aspetti allora, e purtroppo anche oggi, trascurati della disciplina. L’atleta veneto fu, infatti, l’unico che non recepì, se non per una breve fase iniziale, l’insegnamento del maestro Shirai in termini acritici. Aveva capito che dietro il gesto specifico ci poteva essere qualcosa di più valido ed importante: bisognava esercitare, approfondire, adoperare la cosiddetta “forza del Ki” della quale i maestri giapponesi parlavano in termini mistici e forse volutamente impenetrabili, cogliendo quello che di scientificamente si esprimeva attraverso di essa. Per trasferire il karate nei nostri giorni facendone una disciplina di massa depurata dei suoi significati falsamente religiosi che ne tradivano immagine, significati e funzionali.

 

In quel senso e con quelle finalità, secondo De Michelis, si poteva, e si doveva parlare, di karate moderno che solo in quella prospettiva poteva diventare un veicolo formativo di efficacia straordinaria. Fu anche per questo che De Michelis favori la costituzione di una federazione unificata nella quale intravedeva la possibilità di superare certe mistificazioni devianti ancoratesi mito nipponico.

Un programma troppo impegnativo in un sistema organizzativo nel quale, tutto sommato, le componenti confluite aspiravano solamente ad affermarsi l’una sull’altra per poter continuare i propri metodi senza fastidiose concorrenze. E con sorridente indifferenza Bruno Demichelis si disimpegnò continuando quella che gli sembrava l’evoluzione logica del messaggio che l’arte marziale gli aveva suggerito.

Laureatosi in psicologia dello sport all’Università di Lugano, dove oggi insegna, continua con la tranquilla coscienza del valore delle sue convinzioni, a portare avanti il discorso sulla valorizzazione del gesto sportivo, nelle differenti discipline, attraverso un perfezionamento della personalità di chi lo compie.

I suoi giudizi sull’attuale situazione politica del karate italiano sono critici ma sereni. Non la considera un occasione perduta perché nella vita tutto può sempre accadere purché si verifichino le condizioni adatte.

Cosi com’è insegnato il karate continua ad essere una buona ginnastica: e non sempre. Anche altre discipline sportive, tuttavia, hanno fatalmente evoluto costrette dalle circostanze e non è detto che questo non avvenga anche per il karate: purché qualcuno non smetta di volerlo!

 

 

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