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Renato Rizzo
renato
Foto di Agostino Priarolo
01/06/1926 - 03/06/2012

Voglio con questa pagina rendere onore a mio Zio, memoria storica della nostra famiglia, memoria storica della nostra isola, persona ferma, decisa, leale, una persona onesta sempre, onesta con se stessa, con mia figlia Beatrice e mio figlio Enrico.
Amorevole e sempre sorridente con Andrea e Giulia.

Da parte mia e della Manuela ci mancheranno le sue battute e le mie lunghe discregazioni politiche che ci portavano spesso anche allo scontro dialettico ma sempre con alla base la voglia mia e sua di capire, imparare e sopratutto condividere storie di vita vissuta.
Il mio saluto, per chi mi conosce si nasconde dentro un grande silogismo. OSS
Davide

OnorificienzaNel 2007 era stato insignito dell'onorificenza di Grand'Ufficiale dal presidente della Repubblica Napolitano che aveva dedicato a sua madre: «Una donna coraggiosa, che mi ha insegnato ad amare».
Schivo come sempre, aveva poi commentato così il riconoscimento: «Ho fatto solo il mio dovere».

“A Renato Rizzo ero legato da autentico affetto e stima, da vera amicizia: rappresentava l’umanità, la misura, il calore della vera civiltà politica e operaia”.
Il Presidente della repubblica
Giorgio Napolitano

Renato Rizzo: il ricordo di Massimo Cacciari
Tratto dal sito della Fondazione G.Pellicani
Voglio pubblicare per esteso il ricordo di Renato Rizzo a firma di Massimo Cacciari.
Se ne è andato Renato Rizzo. Con Renato scompare forse l'ultimo di una generazione di politici e dirigenti che hanno fatto la storia della sinistra veneziana della seconda metà del Novecento.

Pellicani e Chinello, Vianello e Federici, e tanti altri, magari meno noti, del partito e del sindacato. E intellettuali, intellettuali di fama mondiale, eppure radicati qui a Venezia e nelle lotte di Marghera, come,un nome solo per tutti, Gigi Nono.

Dico “sinistra” - e questo nome mi suona insopportabilmente scipito, insulso, invertebrato. Erano dei comunisti.

Come spiegare a un giovane di oggi cosa fosse essere comunista negli anni '50-'70? Cosa significasse vivere e lavorare per il PCI per gente come Renato? Un ventennio e più di populismo, dilettantismo politico, trasformismo – un ventennio dedicato alla più idiota damnatio memoriae nei confronti del termine stesso “comunismo”, ha reso il compito pressochè impossibile.

RenatoOggi la plebaglia,e non solo, pensa al “comunismo” come sinonimo di settarismo, odioso centralismo, assenza di spirito critico, organizzazione semi-militare, statalismo invadente, demonizzazione dell'avversario, o, quando va bene, vuoto utopismo. Eserciti di pseudo-intellettuali prezzolati, gazzettieri, apologeti del vincitore di turno hanno così diseducato il Paese e falsificato la sua storia.

Ho conosciuto le persone che hanno costruito il PCI del dopoguerra da ragazzo; spesso, direi quasi sempre, non ne ho condiviso le idee, ma ho lavorato con loro per tanti anni da iscritto, e ho continuato anche poi.

Chi sopravvive, quorum ego, ha oggi il dovere di ricordare come erano davvero. E per parlare di tutti, basta parlare di Renato. Mai un istante che non pensasse con la propria testa. Pronto a pagare per questo, lui, fraterno amico di Napolitano!, nella sua carriera politica. Ma assolutamente certo che solo lavorando insieme, con tutti i compagni, attraverso la discussione con loro anche più aspra, si poteva cambiare il Paese.
Cambiarlo per chi aveva bisogno, per aprire opportunità ai giovani, per portare a dirigere la cosa pubblica le classi storicamente emarginate.
La politica come esercizio di giustizia: la politica è giusta quando si rivolge all'altro, quando non pensa a sé,quando non ha un solo tratto auto-referenziale, quando sa superare ogni interesse di parte.
I comunisti hanno commesso, anche in Italia, errori politici fatali – se non li avessero commessi non avremmo avuto lo sciagurato ventennio da cui fatichiamo a uscire. Ma la loro politica ha sempre, in tutti, tenuto viva la passione per l'universale. E questa passione – che li portava, tutti, anche i più modesti, come Renato, a leggere, a studiare, a discutere, a voler diventare competenti – si incarnava in azione, in prassi nei luoghi dove vivevano, nelle fabbriche e negli uffici dove lavoravano.
Non facevano mai propaganda. Erano l'opposto di ideologhi e demagoghi.
Affrontavano i problemi attraverso analisi e progetti concreti. La strategia politica era frutto del loro radicamento sociale. Renato è stato un grande esempio di questa capacità: egli ha rappresentato per decenni il dirigente della Giudecca.

Tutto ciò che di buono socialmente e culturalmente è stato fatto nell'isola nel corso di un quarantennio lo si deve a lui, al suo impegno, alla sua testarda, indomabile capacità di far valere le proprie ragioni. Che erano sempre buone.

Quando penso a Renato, quando penso a quegli uomini della sua generazione, che ho avuto l'onore di conoscere, mi chiedo come sia potuta avvenire una tale mutazione antropologica del ceto politico.
Ma ricordarli forse è l'unico mezzo per sperare di poter ancora risalire la china dentro cui stiamo precipitando.

Massimo
Cacciari


Il ricordo di un ex partigiano che così ricorda Renato Rizzo:
Nel 1944 ero a Claud in Val Cellina, facendo parte del comando della Ippolito Nievo, efficiente brigata mista di osovani e garibaldini, questi ultimi comunisti. Un giorno mi avvicinò un ragazzo più giovane di me, mi chiese " Ho sentito che anche tu sei veneziano", ma non potevamo rivelare le nostre identità. Renato era venuto a prendere contatto con i comandanti garibaldini Tribuno e Riccardo. Solo dopo la liberazione, nel primo Anpi unitario, ci conoscemmo meglio e facemmo amicizia. La difficile situazione internazionale ci divise, avendo io provocato la scissione dei partigiani non comunisti, specie di Giustizia e Libertà, per creare con Ferruccio Parri un'altrra associazione, non godevo di certo delle simpatie dei compagni rimasti nell'Anpi ma Renato non mi voltò le spalle, mi rimase sempre amico, ogni volta che ci vedevamo era una festa, anche di recente alla Giudecca. Rimane sempre un uomo giusto e buono, appassionato nei suoi impegni.
Renzo Biondo
Gianni Trevisan - Cooperativa il Cerchio:
Il grande vecchio della Giudecca Renato Rizzo ci ha lasciato.
Ho conosciuto Renato 50 anni fa, allora era Segretario del Sindacato Spettacolo e io Segretario della Camera del Lavoro.
Con lui ho avuto il primo scontro politico, e lì ho appreso la prima lezione: mi ha spiegato che ad un comunista viene meglio fare il Segretario dei Metalmeccanici, ma che è più impegnativo e difficile dirigere categorie come quelle del Casinò e dei Maestri di  Musica!

L’ultima volta che l’ho visto mi ha commosso, dicendomi che era felice del mio lavoro e della cooperativa; non mancava mai ai nostri appuntamenti.

Personalmente, a nome di tutto il CdA e dei soci della Cooperativa, piango la sua scomparsa.

Parole spese per Renato da parte di Pino Musolino:
Sempre più spesso, ultimamente, ci ritroviamo a dover affrontare la necessita’ di scrivere delle note in memoria di qualche amico partigiano che ci ha lasciato. E’ un compito decisamente ingrato, soprattutto quando si tratta di persone che hanno avuto, nelle nostre vite, un impatto profondo.

Condensare adeguatamente in poche righe la vita e l’opera di Renato Rizzo non e’ possibile, ne’ renderebbe assolutamente onore alla figura  e alla rilevanza che egli ha avuto nella vita politica di Venezia, ma ancora di piu’ per il tessuto sociale della sua amata isola, la Giudecca.

Certo, va ricordata la lunga lista di incarichi pubblici ricoperti: consigliere provinciale, consigliere comunale e vicepresidente del consiglio comunale, presidente del consiglio di quartiere di Giudecca e Saccafisola, ma pensare di riassumere in un elenco  di incarichi e di posizioni ricoperte la vita e il ruolo di un uomo come Renato non solo sarebbe riduttivo, ma non renderebbe assolutamente il senso e l’idea dell’importanza che quest’uomo, con la sua incredibile costanza e la sua incrollabile forza di volonta’, ha avuto nella sua citta’ e nella sua comunita’.

Renato Rizzo e’ stato innanzitutto un Comunista italiano, questa sono certo sarebbe stata la definizione sintetica che lui avrebbe apprezzato di piu’, ma un comunista per certi versi atipico. Mai settario o dogmatico, ha sempre interpretato la sua azione politica come un mezzo attraverso cui apportare dei miglioramenti all’esistente, anche quando questo significava arretrare rispetto alle proprie posizioni ideologiche.

Migliorista della prima ora, anche quando non era cosi’ facile definirsi tali, ebbe un intenso e proficuo rapporto con altri grandi esponenti di tale corrente, primo fra tutti Giorgio Napolitano. Attraversando in prima linea tutte le fasi della trasformazione del PCI, Renato non ha mai nascosto la sua grande soddisfazione nel vedere realizzato il “sogno” politico di una vita, il dialogo e l’azione politica congiunta tra la componente progressista e la componente moderata della societa’ politica italiana.

Anche negli ultimi anni della sua vita, gia’ ultraottantenne, non smise mai di partecipare attivamente e con passione alle fasi di costruzione e nascita del Partito Democratico, che vedeva idealmente come il coronamento di quell’obbiettivo.
Ma cio’ che piu’ di tutto va ricordato di Renato Rizzo e’ la sua grande, incredibile, quotidiana lotta per migliorare le condizioni e la realta’ del grande “amore”  della sua vita, l’isola della Giudecca, quella spina di terra che si pone, orgogliosa e umile al tempo stesso, di fronte a piazza S.Marco, a Venezia. Separata dal centro citta’ da un braccio di mare di appena 300 metri eppure, per certi versi, lontanissima da esso.
Per poter meglio comprendere, l’isola ha avuto un passato di grande poverta’, prima come isola di pescatori, poi come quartiere-dormitorio per operai, sede di uno dei piu’ importanti conglomerati industriali urbani di tutto il Veneto, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento. Lo storico Spriano la definiva infatti “Giudecca la Rossa”, anche in relazione all’apporto che l’isola diede durante gli anni della lotta partigiana.
Fu proprio durante quegli anni che Renato Rizzo, giovane operaio, svilluppo’ le proprie convinzioni
politiche e impresse una direzione alla propria vita che rimase immutata fino all’ultimo dei suoi giorni.
Renato concepiva la sua azione politica, indipendentemente dal ruolo ricoperto in quel momento, come un’incessante, certosino lavoro di cesellatura per migliorare la qualita’ della vita dei suoi concittadini isolani, per concedere opportunita’, per guadagnare diritti.

Non c’e’ un giudecchino che, indirettamente o direttamente, non abbia sentito dirsi, negli ultimi 40 anni,
“se hai un problema, rivolgiti a Renato!”

Mi ha sempre colpito la sua capacita’ di darsi, di mettersi a disposizione, indipendentemente da chi richiedesse  il  suo  aiuto.  Mai  l’ho  visto  chiedere  qualcosa  in  cambio,  mai  l’ho  sentito  rivendicare alcunche’, mai ha rifiutato il suo supporto,nemmeno a coloro che apertamente stavano dalla parte opposta. Se Renato riteneva la causa giusta, e soprattutto se sapeva di poter fare qualcosa, era sempre in prima fila e si spendeva, con tutte le sue energie e il suo entusiasmo.

Lottava e si schierava dalla parte della gente, senza mai scadere nel facile populismo o nella vuota rivendicazione. Renato non amava la politica delle parole, cercava di ottenere risultati concreti, ma sempre con discrezione e mai con la politica urlata.
Pochi sanno, ad esempio, che il piano di riurbanizzazione e di recupero dell’isola, noto come “Progetto Giudecca”,  fu principalmente immaginato da Renato sul finire degli anni Settanta. Se ora la Giudecca e’ un’area residenziale e di produzione culturale, un ruolo importante va riconosciuto proprio a lui.

Negli ultimi anni soffriva un poco del suo essere stato messo da parte, del non essere piu’ ascoltato come un tempo, del suo essere stato posto in “pensionamento anticipato” dalla politica attiva. Ma non per questo si lascio’ abbattere: dedico’ le sue energie in qualche modo all’obbiettivo di trasmettere il suo bagaglio di esperienze e conoscenze alle giovani generazioni, e mi onoro del fatto di essere stato tra quelli che hanno potuto usufruire di questo suo sforzo.

Renato Rizzo ha lasciato un segno importante nella sua comunita’, tra le persone, e la sua assenza sara’
sentita, per molti anni a venire.

Viveva la politica dal lato umano, si sforzava di capire gli individui e con essi stabiliva un rapporto empatico, prima che politico. Faceva parte di una generazione da cui gli italiani attuali hanno ancora molto, moltissimo da imparare. A noi, oggi, resta il compito di ricevere il suo insegnamento e continuare nel solco del suo esempio.

Testo in pdf
Pino Musolino - 25/07/2012

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